Nato dal nulla, o quasi. E oggi uomo più ricco della Germania e - secondo il mensile americano “Forbes” - uno dei cinquanta più ricchi del pianeta. Il suo nome, Reinold Wurth, sarà certamente notissimo nelle esclusive “sacrestie” dell’alta finanza mondiale, ma a noi poveri mortali non dice proprio niente. Ed è appunto per questo, io credo, che questo distinto signore tutto fatti e niente vanagloria merita di essere preso a esempio, come prototipo del self-made-men del XXI secolo.
Ho avuto il piacere di incontrarlo, e di fare un’interessante chiacchierata con lui, a Roma, in occasione della cerimonia in cui è stato assegnato il Premio Circeo. E ho scoperto, così, che il suo strapotere economico di oggi (è alla testa di una multinazionale metalmeccanica, la “Wurth GmbH & Co. K”, che ha a libro paga 62.500 dipendenti e che esporta in ottanta paesi di tutto il mondo, per un fatturato complessivo di 8,6 miliardi di euro annui) non discende da pregresse fortune familiari ma è frutto di una lunga e instancabile vita di lavoro, che l’ha visto debuttare adolescente come semplice apprendista nella piccola azienda artigianale di suo padre.
Il “re del bullone” di oggi (la sua azienda è leader mondiale nella produzione dei sistemi di fissaggio: viti, chiodi, bulloni, ecc.), ha costruito insomma la sua formidabile fortuna passo a passo, con una costante tensione al miglioramento tecnologico della produzione e a una penetrazione sempre più capillare prima nel mercato tedesco e poi, via via, in tutti i più importanti mercati internazionali. Compreso quello cinese, in cui l’azienda di Stoccarda si è affacciata ormai da diversi anni, nella convinzione che lasciarsi paralizzare dagli impressionanti ritmi di crescita della Cina è un errore madornale. “La sfida cinese”, mi ha detto infatti, “va raccolta e controbattuta, facendo tesoro delle nostre esperienze e valorizzando al massimo il nostro patrimonio tecnologico. Solo così il rischio-Cina può trasformarsi in opportunità-Cina, aprendo nuovi scenari economici in cui le aziende europee più qualificate hanno solo da guadagnare”.
Il segreto del successo della sua azienda, mi ha confidato Wurth, consiste soprattutto nella sua capacità di “adattare la produzione alle più diverse esigenze della clientela, offrendo prodotti autenticamente ‘su misura’ non solo ai grandi complessi industriali, ma anche alle piccole e medie aziende. La nostra forza non è infatti la grande industria, che da sola rappresenta non più del 20 per cento del nostro fatturato, ma semmai la galassia delle centinaia e centinaia di piccole e medie aziende di tutto il mondo che si rivolgono a noi per la soluzione dei loro specifici problemi di fissaggio e che concorrono a formare, nel loro insieme, il restante 80 per cento del nostro fatturato. In Italia, per esempio, vantiamo un solido rapporto con la Fiat, ma la maggior parte del nostro giro d’affari è rappresentato dagli ordini, talvolta di dimensioni modeste, che ci giungono da una miriade di aziende molto più piccole, e talvolta addirittura artigianali. Insomma: dove c’è un chiodo, una vite, un bullone, ci siamo noi. Questa, è la nostra vera forza”.
Ho chiesto a Wurth di raccontarmi quali sono i più significativi cambiamenti che ha visto irrompere in ambito industriale nell’arco della sua lunga carriera di imprenditore, e lui, con disarmante semplicità, mi ha risposto che l’unica, davvero travolgente rivoluzione l’ha portata l’informatica. “Vede”, mi ha spiegato, “io ho cominciato a lavorare nell’officina di mio padre, dove c’erano solo due operai, quando avevo 14 anni. Poi, con la sua morte prematura, sono subentrato a lui e sono stato talmente impegnato dal lavoro che non sono stato lì a farmi troppe domande ‘filosofiche’… Mi sento di dirle, perciò, che in 58 anni ininterrotti di impegno imprenditoriale tutto è rimasto (computer a parte…) com’era prima. La ricetta per competere, e per imporsi sui mercati, è infatti sempre la stessa: lavoro, lavoro e ancora lavoro!”.
A sentirlo insistere così accanitamente sul lavoro, non ho resistito a chiedergli quante ore dedica ogni giorno alla sua azienda. E lui mi ha fissato con uno sguardo vagamente enigmatico, dopodiché mi ha confidato che “anche oggi che ho delegato buona parte dei miei compiti a mia figlia Bettina, non lavoro mai meno di 15 ore ogni giorno”.
Un lavoratore indefesso, insomma, che all’età di 71 anni, nonostante sia uno dei cinquanta uomini più ricchi del mondo, continua imperterrito a tirare il “carretto” come quando era un giovane imprenditore affamato di successo. Ma anche un organizzatore moderno del lavoro altrui, capace di delegare alla figlia e ai dirigenti di sua maggior fiducia compiti di responsabilità (attualmente lui personalmente si occupa soprattutto di pianificazione strategica) e di valorizzare come pochi il lavoro femminile: sebbene in “Wurth GmbH & Co. K” non siano state introdotte le “quote rosa”, quasi il cinquanta per cento delle maestranze appartengono infatti al gentil sesso.
Mi è venuto da chiedergli se la sua vita non è diventata un po’ “vuota”, da quando ha passato a sua figlia Bettina una quota sempre più consistente del “bastone di comando”. E lui, con un sorriso, mi ha assicurato che ha talmente tanti di quegli impegni (tiene anche conferenze e lezioni di economia aziendale all’università) che le quindici ore giornaliere che dedica ancor oggi – settantunenne - al lavoro, gli risultano “strette strette”. Tanto più che Reinold Wurth si occupa anche di arte moderna, da appassionato competente e collezionista di gran rango. Basti dire che a Stoccarda, dove ha sede anche il suo stabilimento principale, è proprietario di un Museo e di una Fondazione in cui sono custoditi ed esposti i capolavori più preziosi (Monet, Ricasso, Manet, Christo, Munch, per citare solo alcuni degli autori più illustri) che ha raccolto in quasi mezzo secolo. In tutto, oltre 10.800 opere, che costituiscono una delle collezioni più ricche e prestigiose del mondo. L’amore per l’arte dell’industriale tedesco, del resto, è talmente forte d’averlo indotto in molte occasioni a indossare le vesti di un moderno Mecenate, profondendo finanziamenti a favore della salvaguardia del patrimonio artistico. Recentemente ha contribuito con una donazione di tre milioni di euro, senza pretendere alcuna contropartita, al restauro della Cappella Palatina di Palermo, uno dei più importanti gioielli architettonici siciliani.
A conclusione della nostra breve ma avvincente chiacchierata, Herr Wurth mi ha confidato che, nonostante la sua età e i suoi molteplici impegni, trova anche il tempo da dedicare ai suoi hobby: il volo (e lui stesso pilota) e la motocicletta. Una fiammante Harley Davidson che gli hanno regalato nel ’95 tutti gli impiegati, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’azienda. Chapeau!